Mobbing ed esercizio abusivo del potere disciplinare

Mobbing ed esercizio abusivo del potere disciplinare

Mobbing ed esercizio abusivo del potere disciplinare

Risale al 20 dicembre u.s. una significativa pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, in merito alla possibilità di riconoscere la sussistenza del mobbing anche nelle fattispecie in cui il datore di lavoro abbia esercitato il potere disciplinare “abusivamente”.
Per quanto concerne i fatti di causa, la pronuncia della Suprema Corte (n 30606/2017) trae origine da un’azione giudiziale intentata da un lavoratore dipendente che riteneva di avere subìto azioni di carattere vessatorio e con intento persecutorio da parte dell’azienda datrice di lavoro; circostanza che, a detta del lavoratore, ne aveva determinato le dimissioni.
Dal punto di vista processuale, sia in occasione del primo grado di giudizio che del secondo, veniva riconosciuta l’illegittimità delle condotte adottate dalla società datrice di lavoro e, di conseguenza, la stessa veniva condannata a pagare in favore del lavoratore un risarcimento danni.
Nello specifico, la Corte d'Appello rilevava che: era stato dimostrato il motivo che aveva causato la reazione ed il conseguente inizio di cambiamento di atteggiamento da parte della società (ovvero la scelta del lavoratore di rivolgersi all'Organizzazione Sindacale); era risultato privo di giustificazione lo spostamento di reparto; era stata provata l'emarginazione del dipendente con isolamento dello stesso; vi era stato un abusivo esercizio del potere disciplinare da parte della società; era stato dimostrato l'intento persecutorio che avrebbe indotto il lavoratore a rassegnare le proprie dimissioni.
La Corte di Cassazione, nel doversi pronunciare sul ricorso presentato dalla società datrice, ha sostanzialmente confermato quanto statuito in sede di giudizio d’Appello precisando, sulla scorta di quanto previsto da un orientamento giurisprudenziale corroborato, che ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono comunque ricorrere: “(…) a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i componenti lesivi (…)”.
Secondo la Corte di Cassazione, l’esercizio abusivo del potere disciplinare da parte del datore di lavoro con lo scopo di estromettere il lavoratore, unitamente ad altri comportamenti persecutori ed ai criteri elaborati sul tema dalla Giurisprudenza, può integrare una fattispecie di mobbing.